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Un pesce che nuota sottosopra (2020)

Un pesce che nuota sottosopra

(Ein Fisch, der auf dem Rücken schwimmt) Germania 2020 dramma 1h43’

 

Regia: Eliza Petkova

Sceneggiatura: Eliza Petkova

Fotografia: Constanze Schmitt

Montaggio: Eliza Petkova

Musiche: Hannes Marget, Les Voda

Scenografia: Miren Oller

Costumi: Nuria Heyck, Anna Philippa Müller

 

Nina Schwabe: Andrea

Theo Trebs: Martin

Henning Kober (Henning Mosselman): Philipp

Anna Manolova: Nadya

Márton Nagy: Jens

 

TRAMA: Andrea, una donna senza passato, è l'oggetto del desiderio sia di Philipp sia del figlio dell'uomo. Ha così inizio un triangolo amoroso pieno di aspettative, desiderio e paura.

 

Voto 6



Anche se ci sono due uomini importanti nella storia, padre e figlio, la persona che catalizza l’attenzione dei due e del pubblico è Andrea, una bella donna, capelli corti biondi, magra, attraente e sensuale, sebbene non dia questa impressione a primo sguardo. Lei è da un tempo non ben determinato nel bel bungalow, ordinatissimo, moderno, arredato con essenzialità ed efficienza, con tanto di piscina: è la nuova compagna di Philipp, un vedovo di Hannah sempre sorridente, dal viso pulito e dall’espressione gentile e accogliente. Con loro vive l’altro maschio della storia, Martin, giovane aitante di bell’aspetto ma dall’espressione perennemente corrucciata, che non nasconde il fastidio di vivere in famiglia con una donna diversa dalla madre.



L’inizio del film ci mostra la professione di Andrea, che lavora in un centro di sostegno per bambini affetti dalla sindrome down, sempre sorridente ma dall’espressione perplessa. Un lavoro che nel prosieguo del film non influisce più di tanto, anzi sparisce totalmente. Innanzitutto perché la trama si snoda su ben altro. Entrambi gli uomini non celano, pur se freddamente, come può essere tipico nelle persone e nei personaggi centroeuropei, la forte mancanza della madre e moglie ed è chiaro che cercano un equilibrio che non trovano. Il papà, che comunque ora ha una donna a cui dedicarsi, si assenta molte volte per lavoro, Martin vaga per le stanze annoiato. Andrea trascorre il tempo casalingo con jogging e nuotate nella piscina, dove il giovane la fotografa segretamente.



Ben presto, però, esplode serpeggiante come un animale invisibile ma insidioso, l’attrazione fisica che la donna, trattata sempre dal figlio come una presenza mai accettata, provoca al giovane, il quale un giorno, ardimentoso e senza scrupoli, le si avvicina, la sfiora, la accarezza e la bacia. Ci si attenderebbe una reazione dell’altra, è pur sempre la donna del padre! Ed invece lei, lentamente, acconsente, non reagisce, anzi si lasci andare e fanno addirittura sesso. Da quel momento inizia una perversa situazione che non vede via d’uscita. Ogni volta che Philipp rientra in casa i due adulti si concedono effusioni e dimostrano apertamente quanto si amino, sotto lo sguardo solo apparentemente indifferente di Martin che invece soffre dentro, perché il suo malsano sentimento sta assumendo l’aspetto inevitabile della gelosia. Tanto che tutte le volte che il padre si assenta, lui parte all’assalto della donna desiderata, soprattutto sessualmente, con la pressante e soffocante richiesta di voler sentire di essere amato.



Andrea è sempre, o quasi, disponibile a concedersi ma non accetta la pressione sentimentale, capendo molto bene che quella di Martin è una fissazione di possesso e di esclusività, ma, chissà, forse il fatto di sentirsi desiderata da un giovane la fa sentire attraente, le fa l’effetto di essere gradita a tutti, oppure per altri strani motivi. La vanità è sempre in agguato, anche per chi non sogna grandi cose. Ma è inutile attendersi spiegazioni logiche o umane: il gioco difficile che conduce la regista bulgara Eliza Petkova è di non semplice soluzione, perché si pone e fa porre domande, in diversi punti e situazioni del film ma non offre mai risposte. Fino al punto che come inizia misteriosamente e con poche spiegazioni, altrettanto il film termina, con il perenne volto enigmatico della provocante e falsa gatta-morta protagonista.



Di certo si può cogliere il mitico complesso di Edipo, l’eterna lotta, anche mortale, della competizione che un figlio inconsciamente nutre per il padre, che non si sa mai dove può portare. La scena del gioco poco giocoso in cui, sempre in piscina, padre e figlio provano a non respirare sott’acqua non fa altro che paventare l’ipotesi del tentativo di assassinio. E ci si va vicinissimo, attendendo una reazione veemente di Philipp, il quale, invece, guarda ancora una volta il figlio senza proferire parola e solo verso il finale gli chiede un parere su una sua foto e… “cosa voglio dire lo sai bene”, rivelando quanto egli sappia di come vanno in casa le cose. È riuscito a domare gli impulsi con l’arte giapponese della katana con cui si esercita in giardino.



Lui è una persona dallo sguardo limpido e dotato di enorme comprensione verso un figlio che porta il peso della morte della mamma, anche perché di mentalità aperta. E capisce più di quello che dà a vedere. È il personaggio più luminoso dei tre, al contrario del figlio sprezzante ed egoista, pur se sofferente. Lei invece è un rebus, un personaggio complesso e mai rivelato pienamente, tanto che alla fine non ci si rende ancora conto di quale sia veramente la sua personalità e cosa le passi realmente nella testa. C’è anche un quarto personaggio, testimone scomodo, silenzioso, osservatore ma comunque riservato: è Nadya, la donna di servizio discreta e invisibile, che viene stritolata dal solito Martin, licenziata e ripresa, che nell’ultima scena contribuisce a rendere più ambigua la figura di Andrea, oltre che di se stessa. Ciò accade dopo l’immane tragedia che esplode come un fatto ineluttabile, una di quelle disgrazie di quando si corre continuamente sul filo del rasoio. È forse l’unico momento del film che succede qualcosa di imprevedibile e drammatico, dopo tanti minuti in attesa della svolta. Pesantissima.



Ossessione, triangolo, erotismo, Edipo, tragedia greca: tutto mescola e si dipana nell’opera di Eliza Petkova, la quale inanella le scene una dietro l’altra in modo scollegato, come tanti episodi che con la mente dobbiamo collegare. Nulla pare fondersi con ciò che succede prima e dopo, ma il tutto è un gioco al domino che prima o poi può crollare a catena, facendo risvegliare la mente dei personaggi e scuotendo lo spettatore. Come andrà in seguito non importa per l’autrice. Come è iniziato il racconto, finisce con una nuova attrazione: Andrea è una calamita insoddisfatta. Se sia o sia stata o sarà felice in quella casa e in quella situazione non lo sapremo mai. Forse è emotivamente spietata, oppure incosciente di ciò che causa oppure bada egoisticamente solo a sé.



Sorvolando alla larga dalla celebre Rebecca di Hitchcock, non ha ovviamente la medesima tensione, né il fascino di quel mistero, ma si trascina con brevi e facili giochi ossessivi facendo temere sempre il peggio. Oltre non va. Film sufficiente almeno per l’originalità e una bella fotografia. I tre attori sono ben assortiti e si sanno esprimere anche per le loro doti fisiche: Nina Schwabe ha naturalmente le qualità  ed il modo di porsi per essere imperscrutabile e desiderabile; Henning Kober è perfetto per interpretare Philipp con le caratteristiche caratteriali descritte prima; Theo Trebs è dotato di un bel viso ma sa assumere le dure espressioni del tormentato e angustiato giovane che cerca di mettersi al centro dell’universo, riuscendo ad essere quello che è il suo personaggio. Ma chi ruba la scena ogni volta è lei. Lei che nuota sempre a pelo d’acqua: sotto o sopra, non si sa. Ambiguamente.



Un film a cavallo tra il thriller erotico e il dramma familiare, che a volte segue troppo da vicino gli schemi dei generi, ma esplora anche la fragilità dei personaggi con grande prudenza e la espande con cura nel terreno dell’erotico, specialità in cui molti registi sbagliano approccio. Eliza Petkova, chiamata alla Berlinale 2020 per quest’opera, si guadagna, in ogni caso, la sufficienza.



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