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Un sogno chiamato Florida (2017)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 16 lug 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Un sogno chiamato Florida

(The Florida Project) USA 2017 dramma 1h51’

 

Regia: Sean Baker

Sceneggiatura: Sean Baker, Chris Bergoch

Fotografia: Alexis Zabe

Montaggio: Sean Baker

Musiche: Lorne Balfe

Scenografia: Stephonik Youth

Costumi: Fernando Rodriguez

 

Brooklynn Prince: Moonee

Willem Dafoe: Bobby

Bria Vinaite: Halley

Christopher Rivera: Scooty

Valeria Cotto: Jancey

Aiden Malik: Dicky

Carl Bradfield: Charlie Coachman

Josie Olivo: nonna Stacey

Mela Murder: Ashley

Sandy Kane: Gloria

Terry Allen Jones: Patrice

Shail Kamini Ramcharan: proprietaria dell’Arabian Nights

Patti Wiley: Amber

Jasineia Ramos: Luci

Rosa Medina Perez: Bertha

Sonya McCarter: Simone

Caleb Landry Jones: Jack

Macon Blair: John

Karren Karagulian: Narek

 

TRAMA: Le vacanze estive di Moonee, una bambina di sei anni, e dei suoi amichetti trascorrono all’insegna di spensieratezza, meraviglie e avventure. Gli adulti che li circondano, a cominciare dalla madre di Moonee, sono però costretti a confrontarsi con le difficoltà della vita e tempi difficili.

 

Voto 6,5



Nonostante una trama apparentemente semplice, il film raggiunge i suoi obiettivi mediante qualcosa che sa di raro e magico, una favola moderna che chiude gli occhi per non mostrare le storture della vita che non gira nel senso giusto. La caratteristica principale resta il fatto che l’opera di Sean Baker si presenta con lo sguardo dei piccoli protagonisti, specialmente dal punto di vista di una bambina mentre, allo stesso tempo, fornisce diversi indizi che gli spettatori adulti sono in grado di decifrare, facendo capire bene ciò che sta realmente accadendo. I bambini, lo sappiamo bene, spesso non vedono il mondo allo stesso modo degli adulti e lo sceneggiatore/regista – fattosi conoscere specialmente con Tangerine e Red Rocket, ma vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2024 con il discusso Anora – ha la grande abilità di catturare questa (di)visione senza ricorrere al melodramma o al sensazionalismo. È proprio per questo che egli dà l’idea di produrre uno spettacolo genuino, dall’inizio alla fine.



Sembra di trovarsi in un mondo a parte, chissà dove. Alle spalle di Disney World, infatti, c’è un motel a Kissimmee, in Florida, una volta sosta per i turisti che andavano in quel mondo fatato e magico di Disney. Oggi, però, questo è il posto di chi non ha i soldi per una casa e paga 35 dollari a settimana. Gente dimenticata con uno stuolo di bambini sfaccendati da mane a sera che trascorrono il tempo giocando, sorvegliati e coordinati dal custode Bobby (un imprevedibile Willem Dafoe, che d’altronde ci ha abituati negli anni ai ruoli più disparati), dalla faccia burbera ma che si si diverte con i ragazzini. È un mondo a sé, tanto che il chiosco delle arance è a forma di arancia, quello dei gelati di cono gelato, quello dei souvenir ha per insegna un’enorme testa di mago barbuto: è come un distaccamento dell’enorme e costoso parco situato accanto, ma dove si vive diversamente, trascorrendo l’estate in maniera alternativa. Molto alternativa.



Già, ancora una volta il cinema ci racconta di due mondi differenti dell’America, di quella grande nazione che il sogno lo ha dimenticato, dove da un lato esiste il divertimento costoso, dall’altro la schiera delle stanze di chi non vede futuro. La protagonista assoluta, assieme a Bobby (ovviamente, anche se si defila spesso, restando però sempre incombente), è Moonee, una precoce bimba di sei anni che abita in un posto di color lilla che si chiama Magic Castle con una madre scriteriata che vive alla giornata, Halley (Bria Vinaite). Una terra a sé, una vita particolare fatta di giochi e piccoli accadimenti a volte perfino divertenti.



Durante le vacanze estive, Moonee trascorre il tempo giocando con i suoi amici Scooty e Dicky, a loro volta ospiti, praticando numerosi scherzi approfittandone della mancata sorveglianza degli adulti. E menomale che c’è sempre Bobby a tenerli d’occhio. A tenerli così è ovvio che lì succede di tutto. Un giorno il trio fa una gara di sputi sull’auto di una cliente di Futureland (che altro nome!), il motel accanto, e il padre di Dicky gli proibisce di giocare con gli amici per una settimana. Mentre puliscono quell’auto, Moonee e Scooty fanno amicizia con Jancey, la nipote della proprietaria. Successivamente la famiglia di Dicky si trasferisce in New Orleans e suo padre regala con un pretesto i suoi giocattoli agli altri bambini.  Fin quando, una notte, al motel giunge una coppia di turisti brasiliani in luna di miele con tappa Disney. Le cose si complicano, perché, benché la storia si sviluppi quasi monotona e con basso profilo, si avverte di continuo l’inevitabile che sta per succedere. Come sempre negli Stati Uniti della popolazione emarginata. Ed inevitabile è anche l’arrivo della polizia e degli assistenti sociali. Ordinaria amministrazione, in quelle zone d’America.



Il cast, eccettuato il nome importante di Dafoe e di quel giovane notato appena lo stesso anno con Tre manifesti a Ebbing, Missouri, chiamato Caleb Landry Jones, è composto da attori adulti e piccoli sconosciuti, tutti più o meno protagonisti, in testa ai quali ovviamente è lei, Moonee, la vispa Brooklynn Prince, poi rivista da adolescente in Cocainorso e La casa del padre. Grande bravura da parte del regista a dirigere una colonia di bimbi scatenati, tanto che sembrano davvero naturali. Inutile ribadire la personalità adattiva di Willem Dafoe, sempre bravissimo.



Come l’ha definita lo stesso Sean Baker, un regista da tener sempre d’occhio, “Una versione moderna di Piccole canaglie” come quei ragazzini terribili di Hal Roach. Un mondo variopinto di umanità e di colori.



Riconoscimenti

2018 - Premio Oscar

Candidatura per il miglior attore non protagonista a Willem Dafoe

2018 - Golden Globe

Candidatura per il miglior attore non protagonista a Willem Dafoe

2018 - British Academy Film Awards (BAFTA)

Candidatura per la miglior attore non protagonista a Willem Dafoe



 
 
 

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