Undine - Un amore per sempre
(Undine) Germania/Francia 2020 dramma/fantasy 1h31’
Regia: Christian Petzold
Sceneggiatura: Christian Petzold
Fotografia: Hans Fromm
Montaggio: Bettina Böhler
Scenografia: Merlin Ortner
Costumi: Katharina Ost
Paula Beer: Undine Wibeau
Franz Rogowski: Christoph
Maryam Zaree: Monika
Jacob Matschenz: Johannes
TRAMA: La storica Undine organizza tour della città di Berlino. Quando non lavora, invece, conduce un'esistenza tranquilla nel suo piccolo appartamento. La sua vita prende una piega inaspettata quando l'uomo che ama la lascia per andare a vivere con un'altra donna. Secondo un'antica e leggendaria maledizione che pende su di lei, Undine dovrebbe uccidere l'uomo che l'ha tradita e poi tornare nell'acqua da cui in passato è andata via. Undine non ha però alcuna intenzione di abdicare al destino che le è stato imposto, non vuole uccidere nessuno e soprattutto non vuole andarsene. Del resto, all'orizzonte appare Christoph, di cui non può fare a meno che innamorarsi. Il loro è un amore felice, diverso e basato sulla fiducia reciproca. Undine lo segue nelle sue immersioni in un bacino idrico ma Christoph ben presto sente come lei gli nasconda qualcosa. Ancora una volta, sarà l'antica maledizione a rompere l'incantesimo.
Voto 8
Secondo la tradizione mitologia del nord europeo, le ondine (o undine) sono creature leggendarie catalogate tra gli elementali, cioè tra quegli esseri mitologici che derivano da uno solo dei quattro elementi classici, in questo caso dall’acqua. Le ondine sono quindi figure marine simili a fate o meglio ancora a sirene (di fiume, di lago, di cascate), che secondo l’antica tradizione attraggono gli uomini per farli affogare. Il loro destino è caratterizzato dal fatto che, dotate di voce meravigliosa perfettamente accordata alla natura circostante – si può confondere perfino con lo scrosciare dell’acqua -, non hanno un’anima ma possono ottenerla sposando un uomo e dando alla luce un figlio. L’altra faccia della medaglia è che, se l’uomo le abbandona, sono costrette ad ucciderlo, ovviamente affogandolo. Nel loro habitat naturale.
Christian Petzold, regista tedesco originario della Renania, ha quasi preso di peso questa leggenda e l’ha trasportata ai giorni nostri, opportunamente adattandola ma lasciando intatte le caratteristiche della figura mitologica della sirena nordica nel suo severo destino. Quello che lo ha attirato di più e lo ha spinto a scrivere una storia predominata da questa tipologia di femminilità è stato il maschilismo che impera da sempre e, aggiungerei, subdolamente mascherato nei nostri tempi da una falsa parità di genere. Usualmente la classica storia d’amore, illustrata dalla letteratura e dal cinema, consiste in una relazione dall’intensità variabile tra un uomo e una donna, in cui risulta normale che lui usi l’altra finché ne ha voglia e poi la respinge, magari per sceglierne un’altra. Il cineasta germanico fa giustamente presente come sia frequente che i siti on line in cui la gente si conosce virtualmente mette a disposizione dei filtri con cui si può scegliere a piacimento il partner. Nulla esclude poi che dopo il primo incontro, piacevole o meno, il maschio facilmente torni alla ricerca di un tipo di donna differente, come se si trovasse in un centro commerciale pieno di merce. Ma con una ondina ciò è molto pericoloso, anzi letale: lei ha insito nel suo destino che una volta abbandonata uccide l’altro, affogandolo.
Il punto di partenza del film è stata la riscrittura fatta negli anni 60 da Ingeborg Bachmann (poetessa, scrittrice e giornalista austriaca, morta nel 1973) con il racconto Ondina se ne va, nella raccolta Il trentesimo anno, dove la protagonista parla dal suo punto di vista e dice più o meno: “Ehi, uomo, che fai? Io esisto solo perché tu mi vuoi, e ora che non mi vuoi più mi butti via?”. Da qui il soggetto per il cinema, visto e ragionato dallo sguardo di donna, in cui bisogna quindi rimanere nello spazio dei binari tracciati sia dal rapporto fortemente affettivo tra le tre persone principali del racconto, sia dalla tradizione mitologica da cui proviene. Tre personaggi tra i quali, al centro e assoluta protagonista nel bene e nel male, la donna che porta con sé il tragico destino, Undina Wibeau, la cui esperienza “terrena” vive in due esperienze. In un primo momento è amata e promessa sposa di Johannes, il quale poi però le confida che la sta lasciando per un’altra donna. Per lei suona come una condanna, significherebbe il ritorno allo stato iniziale, e si ribella, desiderando fortemente di tornare ad amare a tutti i costi. Il caso vuole che incontri e si innamori, ricambiata di slancio con un amore forte e passionale, di un altro giovane, Christoph, che di mestiere fa il subacqueo (quasi un palombaro, sul lavoro è vestito proprio in quella maniera) specializzato in riparazioni e manutenzione di condutture sott’acqua. Quale miglior ambientazione per un’ondina per un rapporto così intenso?
Le due storie, le due strade, che sembrano così divergenti, si incrociano come le due linee curve di una “X” e si sfiorano su un ponte pedonale di Berlino: di qua il vecchio amore Johannes con la nuova promessa sposa, di là Undine e Christoph, l’uomo che non sogna minimamente di abbandonarla. Le due coppie si sfiorano appena un attimo ma gli occhi dei vecchi fidanzati si incrociano. Entrambi si girano guardando oltre la spalla del proprio partner, entrambi si riconoscono, uno l’ha messa alle spalle della sua esistenza, l’altra lo mira immediatamente consapevole di ciò che le spetta fare. Glielo aveva minacciato seduti al tavolino del bar: “Se mi lasci dovrai morire!”. Una frase fuori tempo, una dichiarazione piovuta da un altro mondo, ma tant’è... Ma quanto dura l’amore reale tra i due innamorati? Fisicamente ben poco, assieme, anche se intensamente. È come se Undine e Christoph si alternassero: lei prima gli si avvicina nell’acqua come una sirena, sotto forma di un enorme pesce-gatto, poi convivono, ma in seguito lui – arrabbiato presumendo di essere stato tradito - è vicino alla morte per un incidente sul lavoro mentre lei, certa della perdita dell’amato, come una novella Giulietta si immola nella sua acqua e torna nel suo ambiente. E quando lui si rimette miracolosamente in piedi dovrà tornare ad immergersi per cercare di ritrovarla e stare con lei per sempre. Perché quando un amore nasce dalla leggenda, state tranquilli che è “per sempre”. Proprio essendo due creature d’acqua, sia pure per motivi differenti, non sono riusciti a stare sulla terra per tutto il tempo che avevano progettato.
Il personaggio di Undine è meraviglioso e non solo per merito della luminosa bellezza di Paula Beer. È una storica che di professione fa la guida free lance nel museo di urbanistica di Berlino, edificio che le rappresenta un punto di partenza e di riferimento, dalle cui finestre può vedere il tavolino del bar che diventa il vero ombelico del suo mondo: lì conosce il primo uomo, lì si innamorerà del secondo, in un bagno di acquario (ecco che il destino si ripete). Il film ondeggia tra la bellissima storia d’amore e i problemi urbanistici della capitale tedesca, che, abitata da una moltitudine multietnica, è da anni caratterizzata da un melting pot di architetture molto diverse, come filosofia e come tempi storici di costruzione. Come spiega ai gruppi dei visitatori, la città com’è oggi è il risultato dei vari passaggi storici e se da un lato resistono o sono stati rifatti tali e quali i palazzi come erano prima, dall’altro si sono innestati cambiamenti per modernizzarla e ripensarla. Il plastico che illustra l’intera planimetria ne è la dimostrazione, con edifici di colore diverso per differenziare le epoche differenti di fabbricazione. Un po’ come succede nella storia della protagonista, ninfa e femmina umana, essere acquatico e abitante terrestre, tra la necessità di portare a termine il compito del suo destino e quello di realizzarsi in quanto donna. Secondo il regista - che ha vissuto a Berlino come studente - quella metropoli “è una città senza favole, senza miti: è prussiana, protestante, è l’esatto contrario, per dire, di Firenze. Ma quello che Berlino ha sono le tantissime persone che arrivano da ogni parte del mondo, e portano con sé le loro storie, come quella di Undine, importata dagli ugonotti. Berlino vive attraverso le narrazioni di chi è approdato lì negli anni: una città che non ha una propria storia, ma che deve afferrare quelle altrui.”
Paula Beer è deliziosa, il suo personaggio è fragilmente deciso, sembra titubante e timida ed invece la anima una forza che non ha nulla di umano, sembra un bersaglio facile ma quando entra nella piscina per punire l’uomo che ha mancato la promessa ha la forza del “mostro della laguna”. I bellissimi occhi chiari parlano d’amore al suo uomo e Christoph ne è completamente soggiogato ma purtroppo l’incantesimo si rompe a causa di un equivoco. E se il destino è già scritto come previsto dalla leggenda, i due avranno la volontà e la forza di ritrovarsi, che poi sia sopra o sotto l’acqua è un particolare secondario. Perché l’amore vince sempre, va oltre ogni ostacolo, sicuramente nelle leggende e tante volte nella vita. Christian Petzold è un artista che dipinge quadri emotivi, con mano poetica, senza strappi clamorosi, preparando con cura i ruoli sulle spalle degli attori, che danno sempre l’impressione di aver assorbito le sue aspettative, di aver assimilato la cura con cui lui prepara gli attori nei giorni precedenti ai primi ciak, mostrando i film di riferimento e facendo leggere i copioni a tavolino. Paula Beer viene dalla danza e Franz Rogowski faceva il clown: entrambi sono al loro secondo film con il regista, dopo La donna dello scrittore (leggi qui), e sono entrati nella vita artistica del regista sostituendo un’altra coppia che aveva popolato i film precedenti, Ronald Zehrfeld e in particolare la sua musa Nina Hoss. I nuovi due attori hanno risposto con eccellenza, lei vincendo addirittura l’Orso d’Argento quale miglior attrice al Berlino 2020. Paiono due interpreti in tale sincronia che recitano l’uno per l’altra e viceversa.
Il film è una bellissima storia d’amore, anche perché, come dice lo stesso regista non esistono film senza questo sentimento: “Le storie d’amore sono la base del cinema; perfino quando non c’è una love story, ogni film è sull’amore.”
È un bellissimo film che ci culla, con l’Adagio di Bach, tra la fantasia fiabesca e la fragile realtà, rispecchiate negli occhi di Paula Beer.
Riconoscimenti
2020 - Festival internazionale del cinema di Berlino
Orso d'argento per la migliore attrice a Paula Beer
Premio FIPRESCI
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