Vangelo secondo Maria
Italia 2023 dramma 1h40’
Regia: Paolo Zucca
Soggetto: Barbara Alberti (romanzo)
Sceneggiatura: Paolo Zucca, Barbara Alberti, Amedeo Pagani
Fotografia: Simone D’Arcangelo
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Fabio Massimo Capogrosso
Scenografia: Luciano Cammerieri
Costumi: Beatrice Giannini
Benedetta Porcaroli: Maria
Alessandro Gassmann: Giuseppe
Lidia Vitale: Anna
Leonardo Capuano: Gioacchino
Giulio Pranno: angelo
Maurizio Lombardi: Erode
Fortunato Cerlino: sacerdote
Andrea Pittorino: Eliashib
TRAMA: La storia di Maria di Nazareth raccontata dal suo punto di vista, non più come spettatrice della vita del figlio, ma come parte attiva della propria esistenza, anche se questo significa interrogarsi costantemente su ciò che le accade.
Voto 6
Maria (Benedetta Porcaroli) è una ragazza di Nazareth, a cui, in quanto donna di quei tempi, non è permesso fare nulla, nemmeno imparare a leggere e scrivere. Il suo futuro è segnato dalla mentalità e dalle tradizioni del luogo, quindi destinata, prima o poi, ad essere data in moglie a qualcuno che paghi sufficientemente bene il padre e fare figli. Ha un carattere ribelle, sembra un animaletto selvatico, non sottostà facilmente né alle regole né all’ubbidienza. È parecchio desiderosa di imparare le cose che non conosce e nella sinagoga ascolta con entusiasmo i profeti. Sogna la libertà, la conoscenza, l’avventura, la fuga per conoscere il mondo e il sapere di altri posti. È capace persino di opporsi al disegno di Dio quando viene a conoscenza del destino da Lui riservatole tramite l’apparizione di un angelo. Senza temere, fino alla disobbedienza estrema. Giuseppe (Alessandro Gassmann), il falegname del villaggio che ha conosciuto e apprezzato per la sua istruzione, ne diventa il maestro e il complice, un uomo affascinante e potente, molto diverso dal vecchietto curvo dei santini. È per una pura coincidenza che scopre, quando il padre Gioacchino la vende per tre pecore al futuro sposo, che l’uomo capitatole è proprio Giuseppe.
Una Maria così non è immaginabile, lontana da ogni pensabile concezione della personalità finora spiegata dalle Scritture e dalla tradizione religiosa: ribelle fino all’esasperazione dei genitori e di chi l’avvicina, non si fa schernire dai ragazzi verso cui reagisce come un maschietto indocile, ama giocare con la fionda come un novello David, di cui sogna le gesta. “La prima volta che sentii di David al tempio [luogo in cui lei si presenta sempre quando parla il Sacerdote (Fortunato Cerlino), che ascolta con estrema attenzione, essendo un’occasione per imparare e arricchire le sue conoscenze], cercavo tra la folla il mio Golia per sfidarlo.” Mai didascalia fu così chiara per chiarire la natura e la tenacia del carattere di questa nervosamente esile adolescente piena di rabbia interiore (non cattiva, sia chiaro, ma combattiva e indipendente), mai fu così lampante la sua personalità. Capace di schierarsi contro chiunque ritenga non amico o pericoloso per la propria affermazione. Immaginabile, invece, l’angoscia e la rabbia dei genitori Anna e Gioacchino, entrambi dipinti dalla sceneggiatura come persone egoiste e opportuniste. La prima è una madre irascibile pronta a punire la figlia, il secondo un padre severissimo, disperato per le iniziative non gradite della figlia, troppo eversiva per i suoi gusti, che fa fare sempre una brutta figura con i vicini, i parenti e il resto del Nazareth. E difatti la puniscono spesso, anche se sono consci che non serve a nulla, tanto lei ogni tanto scappa di casa per vagare e conoscere chi passa nei paraggi del villaggio.
Il completamento di questo quadro poco poetico e molto sorprendente avviene dopo il matrimonio tra lei e il buon Giuseppe, un uomo davvero paziente che però si rende conto che non riesce a domare (“addomesticare” dice Gioacchino, riferendosi al comportamento quasi animalesco della figlia, almeno per come la vede lui) quella bella ragazza e che quindi ogni tanto la lascia libera di esprimersi e agire per conto suo. Inutile perdere tempo per tenerla a freno. Reagisce con nervosismo solo quando lei gli comunica che un angelo le ha preannunciato che sarà gravida per intervento dello Spirito Santo e per volere di Dio: è stata eletta come donna che deve custodire in grembo il bimbo che cambierà il mondo. La perplessità del marito è solo dovuta al fatto che poco prima Maria gli aveva promesso che finalmente avrebbero consumato il matrimonio, avendo rinunciato fino a quel momento. C’è da crederle? E perché proprio lei? Ciononostante, Maria gli dice una frase che mai avremmo immaginato sulle sue labbra: “Amore mio!”. La Madonna a Giuseppe? Però, che bello sarebbe stato, vero? In fondo, è l’amore, no?
Sembra anomalo, strano, originale, ma soprattutto irriverente tutto ciò? Ovvio. Ma se andiamo a leggere chi è il regista e chi ha scritto il romanzo che ne è il soggetto, molto si spiega. Paolo Zucca, per chi non lo conosce bene, è l’autore di L’arbitro (che già allora mi lasciò perplesso e straniato) e il simpaticissimo ed originalissimo L’uomo che comprò la luna, quindi un regista avvezzo a soggetti del tutto particolari e stranianti, fuori dai soliti racconti che abitano da sempre il cinema consueto che conosciamo da più di un secolo. Solo pochissimi registi hanno frequentato temi insoliti e spiazzanti e questo è uno di loro. Anche per l’ambientazione e le location in cui ha scelto di girare: in Sardegna, tra le rocce e i prati e i boschi dell’isola bellissima ed aspra, come in questo racconto, d’altronde. Spingendosi dove nessuno avrebbe provato: far parlare le tante comparse del luogo, specialmente le donne, in stretto dialetto sardo, che, come sappiamo, è un idioma indipendente e impenetrabile (tant’è che compaiono gli indispensabili sottotitoli). E questa è solo la metà della originalità del progetto, l’altra è l’autrice del soggetto, la scrittrice del romanzo omonimo, Barbara Alberti, che giustamente contribuisce alla stesura della sceneggiatura. La conosciamo sia come scrittrice sia come commentatrice ed osservatrice acuta dei nostri tempi e questo prodotto non è altro che una sua creatura perfettamente in linea con il suo pensiero e la sua mentalità. Ed ecco allora una Madonna indipendentista, ribelle, indomabile. Femminista, in una parola tanto di moda. Lei capovolge la figura classica e religiosa per disegnare una Donna, forte, intelligente, pronta ad imparare una nozione ascoltata solo una volta, che non si sottomette ai voleri maschi e ai dettami del momento e del luogo.
Ma, attenzione, religiosa, credente, lucidamente accecata dall’amore verso Dio, contro cui – incredibile, inatteso, inimmaginabile – scaglia perfino una bestemmia vera e propria! Ma furbamente divisa in due respiri distaccati per sembrare meno offensiva, ma in effetti lo è, quando urla al cielo, per la solita rabbia che la abita, “Maledetto Eliashib [figlio del sacerdote che, innamorato di lei, vuole sposarla], maledetto mio padre, il Sacerdote e la sua famiglia! Maledetto il latte di mia madre! Maledetto il porcaro, che se ne vada allo Sheol pure lui [il regno dei morti]. Maledetta la legge fatta per i maschi! [ecco il femminismo]. E Jahvé che mi ha fatto femmina! [ecco la bestemmia, pure femminista!]”.
Ci vuole coraggio, molto coraggio per fare un film così e con queste caratteristiche e con questa sceneggiatura e con questi dialoghi forti. Ci vuole coraggio per sfidare un pubblico che infatti non ha apprezzato o non è stato attratto e ha prodotto un incasso che non ha raggiunto neanche i 270.000 euro. Ci vuole coraggio, tra il libro (che si sa, è più libero di esprimersi) e il film, per sfidare l’opinione pubblica e artistica e i pilastri della mentalità occidentale e cristiana. Ci vuole coraggio a stravolgere non solo la figura paterna e paziente di San Giuseppe, ma soprattutto a sconvolgere l’idea di una Maria dolce, materna, sottomessa, ubbidiente, serena, celeste. Questa è una ragazza indocile, che vuole dire la sua, che pretende il diritto di imparare e vivere il mondo, che ha incredibilmente l’audacia di sfidare la volontà divina e cercare di cambiare le carte (come succede anche in “Jesus Christ Superstar”), ma che intuendo l’importanza del compito assegnatole e della missione che deve compiere, accetta rassegnata e con la medesima forza che fino a quel momento le era servita ad andare in direzione ostinata e contraria.
Ma ci vuole anche pazienza e voglia, prima per guardare il film e poi a volerlo giudicare positivamente, perché questo non è scontato. Le prime impressioni, difatti, mentre lo si guarda, sono di perplessità e di chiedersi perché un’operazione del genere e perché porre una recitazione così nervosa e spesso urlata, a volte stentorea, poco consona a quello che a cui siamo abituati per tradizione e rispetto verso la religione. Siamo, cioè, lontanissimi dal Gesù di Zeffirelli e dai tanti film americani sulla Bibbia e sulla Passione (lasciamo da parte Mel Gibson, troppo ortodosso): qui siamo più nei pressi di una fiction televisiva anche se non lo è affatto, siamo piuttosto nel campo della rilettura apocrifa e certamente non molto riguardosa della dottrina cristiana e di ciò che è stato tramandato per via orale o poi scritta con le Scritture.
Il film Sky Original, presentato al Torino FF del 2023, è però anche un’opera semplice benché ardimentosa, povera di mezzi ma ricca di innovazione e di sensibilità verso la contemporaneità, perché dà uno sguardo moderno su una donna che incarna la perfezione che per noi umani non esiste. È più facile che risulti un film effimero e di poco conto durante la visione e che poi susciti simpatia e apprezzamento solo a distanza. La nuova narrazione vede questa ragazza ispirarsi ai profeti e ai sacerdoti non per chinare il capo e restare muta, bensì per imparare la ribellione, scappar via con un asino, arricchire la conoscenza girando le terre circostanti e più lontane, come per esempio l’Egitto. La novità è anche l’amore che esplode per davvero quando non te lo aspetti, rivoluzionando quello che è sempre stato dato per scontato, e cioè una unione al solo scopo di far crescere Gesù Bambino lontano da quel re chiamato Erode, che qui viene rappresentato come un pazzo omicida. Se il Nazareno aveva un compito, Maria e Giuseppe erano necessari e indispensabili. Ma a Maria chi aveva mai pensato come donna e basta? E difatti ne è scaturita un’opera che ci parla di una donna come mai era stata raccontata. Mica per nulla la Alberti aveva affermato che aveva scritto il libro, tra l’altro tanto tempo fa, nel 1979, “per far sorridere la Madonna e allontanarla dall’immagine di serva piangente, dedita solo all’obbedienza. Questa Madonna sorride, capisce che esiste la conoscenza”. Ecco perché qui il regista l’ha presentata come una ragazza d’oggi, quasi di una generazione Z, per giunta in un’atmosfera di terra brulla e rocciosa, pasoliniana, colorata molto bene da Simone D’Arcangelo (nota positiva).
La regia di Paolo Zucca è apprezzabile ma senza grandi acuti, se non per la ricerca della grande originalità, più dovuta, però, al libro che al film, con qualche interprete che ha avuto a disposizione abbastanza importante.
Benedetta Porcaroli fa un altro passo del suo percorso ma senza grandi emozioni, che comunque cerca, molto spesso con espressionismi monocordi o troppo urlati, ma si mette a disposizione con tutto il corpo, fisicamente persuasa di perdersi nella importante figura. Lodevole.
Alessandro Gassmann ha messo a disposizione la sua esperienza ed il suo corpo attoriale, ma non come o, meglio, di altre volte. Il suo compito era di stare un passo indietro alla protagonista ma spesso ha avuto la meglio per una questione proprio fisica ed anche lui è stato trascinato in una recitazione “su di giri”.
Fenomeno ancor più evidente negli altri attori (il personaggio che spaventa di più è sant’Anna, troppo fuori regola rispetto alla tradizione, troppo scontenta, arrabbiata, per nulla amorevole), tra cui desta impressione Maurizio Lombardi che recita il suo Erode come se fosse Carmelo Bene. Insomma, un insieme che andava guidato meglio dal regista cagliaritano che si è rintanato nella sua terra d’origine.
Si poteva far di meglio ma resta comunque un film meritevole di uno sguardo per merito del soggetto e per la singolarità e l’atipicità dell’idea originale di Barbara Alberti.
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