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Zamora (2024)

Zamora

Italia 2024 commedia 1h40’

 

Regia: Neri Marcorè

Soggetto: Roberto Perrone (romanzo)

Sceneggiatura: Maurizio Careddu, Paola Mammini, Neri Marcorè, Alessandro Rossi

Fotografia: Duccio Cimatti

Montaggio: Alessio Doglione

Musiche: Pacifico

Scenografia: Francesca Bocca

Costumi: Cristina Audisio

 

Alberto Paradossi: Walter Vismara

Neri Marcorè: Giorgio Cavazzoni

Marta Gastini: Ada

Anna Ferraioli Ravel: Elvira Vismara

Walter Leonardi: Herbert Gusperti

Giovanni Esposito: Bepi

Giovanni Storti: cavalier Tosetto

Giacomo Poretti: cavalier De Carli

Antonio Catania: commendator Galbiati

Pia Engleberth: Dolores

Giuseppe Antignati: Alvise Vismara

Pia Lanciotti: Anna Vismara

 

TRAMA: Il trentenne ragionier Walter Vismara vive una vita ordinata e prevedibile a Vigevano. La sua esistenza viene sconvolta quando la fabbrica in cui lavora chiude e si trova costretto a trasferirsi a Milano per un nuovo impiego. Qui, si ritrova coinvolto in partite di calcio aziendali settimanali, nonostante il suo disprezzo per lo sport. Subisce umiliazioni sia sul campo che in ufficio, fino a quando non decide di ribellarsi e prendersi una eclatante rivincita, imparando che nella vita, come nel calcio, bisogna sempre rialzarsi e andare avanti.

 

Voto 6,5



Il film che un regista intende girare è (quasi) sempre il frutto del suo modo di pensare e vivere la vita, della mentalità, del pensiero politico, dei sogni che si porta dietro da tempo, soprattutto del modo in cui vede l’arte del cinema e di cosa debba parlare. È paradigmatico come Neri Marcorè abbia rispettato questo concetto, perché, a prescindere dalla scelta dell’argomento e del soggetto, guardando la sua prima opera da regista – in un periodo fecondissimo di esordi di attori dietro la macchina da presa – si scorge immediatamente l’aria educata, sensibile, umoristica ma malinconica che egli porta con sé ogni volta che si esibisce o si fa intervistare. Si trasforma sì in altri personaggi famosi, essendo un eccellente imitatore, ma quando sfoggia il suo repertorio, fatto di recitazione e canto, comunica subito le sue caratteristiche di persona gentile e mai artisticamente aggressiva. Il film che ha scelto per esordire da regista lo ha girato, scritto in collaborazione, interpretato e fatto interpretare proprio con gli occhi della sua mente e continuamente si colgono questi sentimenti durante l’intera durata. E ha dedicato l’opera prima allo scrittore-giornalista Roberto Perrone morto un anno prima ed autore del romanzo omonimo, anch’esso scritto con la leggerezza delle persone perbene.



In un’ambiente tante volte rievocato dal cinema italiano, si svolge una delicata e educativa storia di un giovane provinciale catapultato nella metropoli. Sul finire, infatti, degli anni ’60, il trentenne Walter Vismara (Alberto Paradossi) è un ragioniere, contabile in una fabbrichetta di Vigevano. Da un giorno all’altro però l’azienda chiude e si ritrova suo malgrado catapultato in un’azienda avveniristica della vitale e piena di fermento Milano, al servizio del cavalier Tosetto (Giovanni Storti), imprenditore con il pallino del folber (il football, secondo un neologismo di Gianni Brera) che obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati, in previsione della partita più importante dell’anno che si disputa il 1° maggio: la coppa dedicata al padre dell’imprenditore, il fondatore dell’impresa (avrà qualcosa a che fare con la Coppa Berlusconi?). Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si dichiara portiere solo perché è l’unico ruolo che ha conosciuto quando tra ragazzi lo mettevano in porta, come succede ai più scarsi, ma non sa che da quel momento, pena il licenziamento, sarà costretto a partecipare alle partitelle del giovedì sera, in vista della famosa partita ufficiale.



A causa delle sue scarse doti calcistiche, per cui nelle partitelle incassa ogni volta una gragnuola di gol, i colleghi lo ribattezzano sarcasticamente “Zamora”, famoso portiere del Real Madrid degli anni ‘30. Intanto tra lui e Ada (Marta Gastini), anch’ella dipendente dell’azienda, nasce del tenero, ma deriso in campo e negli uffici, decide di prendersi il riscatto. Riesce a rintracciare Giorgio Cavazzoni (Neri Marcorè), grandissimo e non dimenticato ex portiere della Nazionale, ormai caduto in disgrazia per varie vicissitudini, alcolizzato e senza una lira, e lo convince ad allenarlo per migliorare e prendersi la grande rivincita sul campo. Non sarà solo questo, il risultato, ma tanto di più, fino ad imparare qualcosa di più che giocare a calcio, ma come comportarsi nella vita reale. Sarà una scuola di vita, con tante rivincite.



Con una rimarchevole fotografia di colori pastello carichi (Duccio Cimatti), Marcorè ricrea la giusta atmosfera della Milano di quel periodo, con abiti accuratissimi ed eleganti (forse anche fin troppo, da far sembrare tutte le ragazze delle mannequin, quindi probabilmente fuori luogo) a cura di Cristina Audisio, insomma con tutte le caratteristiche che ci si potrebbe attendere dalla ricca città in pieno boom economico. Si sviluppa così questa tenera e simpatica storia, tra alti e bassi nelle vicende vissute in un breve periodo da parte del giovane Walter, educato e grande lavoratore, preparatissimo in cultura generale: sa perfino rispondere ad ogni domanda dei quiz di Mike buongiorno, quando – come succedeva a quei tempi - più famiglie si riunivano davanti alla TV per non perdere le puntate di Rischiatutto. Egli ha una buonissima preparazione in molti campi ed è un esperto cinefilo, specialmente appassionato dei film d’autore: d’altronde era il tempo di Fellini.



L’attrazione che scoppia tra lui e la bella Ada è trattenuta solo da lui, giovane fin troppo educato per prendere iniziative amorose, mentre l’antipatico, presuntuoso, sarcastico ingegner Gusberti (Walter Leonardi) riesce a trovare sempre lo spunto per gli sfottò e le provocazioni per deriderlo davanti a tutti, salvo poi chiedergli aiuto nei momenti del bisogno. Walter sarebbe anche contento delle importanti mansioni che il cavalier Tosetto gli ha affidato, dato che è un valentissimo contabile, sarebbe anche soddisfatto di avere tanta considerazione e di aver avvicinato una ragazza che potrebbe diventare la sua donna, ma l’impegno calcistico non lo fa dormire tranquillo, gli dà troppa ansia. Si tirerebbe volentieri indietro nella disputa calcistica, odiando così tanto il calcio, ma la pressione del titolare è forte e le figuracce tante. Solo il mitico Cavazzoni può dargli la soluzione, a patto di pagarlo bene – per soddisfare i suoi vizi fatti di alcol e poker –, ma questi è una persona inaffidabile e ha anche seri problemi familiari e amerebbe tanto poter ricongiungersi con il figlio laureando alla Normale di Pisa, tenuto lontano dalla moglie che lo ha abbandonato.



Le cose non andranno molto bene e tutto sembrerà precipitare quando, affranto e deluso, Walter molla il lavoro per tornare nella sua Vigevano, lasciando l’appartamento della sorella che vive a Milano e che lo ospitava. Quando tutto pare perso, l’esperto ex portiere di una volta si rifà vivo e gli dà la possibilità del grande riscatto. Morale, sportivo, sociale. Fino al trionfo. Una delle sequenze più simpatiche e significative sono proprio i dialoghi tra i due: frasi pungenti, di vita vissuta, di esperienze che sono sportive ma anche morali, di saggezza che pare non abitasse in un personaggio così perduto. L’amico trovato per necessità diventa un maestro non solo calcistico ma soprattutto esistenziale. I suoi consigli, maturati dagli errori e dalle esperienze, diventano parole necessarie per cavarsela e per resistere, per vincere e per trovare la felicità interna che il ragioniere stava smarrendo nell’incertezza della sua esistenza ancora giovane. Da tutti si può imparare, anche da chi è ritenuto un rifiuto sociale.



Neri Marcorè ha scelto bene il soggetto d’esordio, inquadrando un tempo bello e di grandi speranze, parlando di inadeguatezza di certe persone in ambienti ostili e delle relazioni tra uomo e donna in un’epoca in cui sembrava che dovessero essere i primi a prendere l’iniziativa. Da sempre, in ogni tipo di società, è l’uomo che si sente il padrone del campo, specialmente nel modo di approcciarsi alle donne e qui, invece, “sono sempre le donne ad essere molto reattive e mi piaceva dire attraverso questo film che qualunque colpo la vita ti riserva può essere parato e superato”, come ha detto lui stesso. Ha preso come simbolo il ruolo del portiere, il classico numero 1, che deve essere sicuro di sé ma anche un po’ matto, così come racconta la leggenda, e questo numero 1 va sulle spalle di una persona che non si sente tale, che volentieri si vorrebbe in disparte, che è capace di sottrarsi alla disponibilità di una collega, salvo poi pentirsi ma troppo tardi, quando cioè il treno è passato e non ha colto l’occasione che pareva giusta. Zamora fu uno sportivo leggendario e per Walter, tramite la figura malmessa di Cavazzoni, diventa il travestimento di un eroe, come un Clark/Superman, un esempio, non imitabile, una guida per emergere e liberarsi dai fardelli e dagli orpelli esistenziali. Un piano originale e azzardato ma che si rivelerà vincente.



Con la versatilità che contraddistingue il percorso artistico, Neri Marcorè gira senza rinunciare al suo sguardo e soprattutto a quell’aria, come detto in apertura, divertente e malinconica, mostrando addirittura la maturità di un veterano anche dietro la macchina da presa. Così, forte dell’esperienza di una quarantina di film da attore, il piacevole risultato è farci viaggiare indietro nel tempo fino a quegli anni ’60 carichi di fiducia nel futuro ma anche delle asprezze e della concorrenza spietata del presente, proprio per l’inurbamento di tanta gente dai piccoli centri alle grandi città e la conseguente gentrificazione. Una storia dai toni lievi, che offre i sapori e i colori di quel tempo ottimista, girata con cura nell’ambientazione, nei dettagli, nella guida degli attori. Tra i quali brillano una notevole e sicura Marta Gastini e un divertentissimo Giovanni Storti nel ruolo del patron dell’azienda: il litigio finale tra lui e Giacomo Poretti nel ruolo dell’avversario sportivo e imprenditoriale, cavalier De Carli, è un pezzo degno del trio da cui provengono, in tutto e per tutto.



Un debutto di buona qualità e un film con pochi precedenti recenti, sia per lo stile, sia per le tematiche affrontate, dallo sradicamento al bisogno di credere in sé. Bravissimi tutti gli attori, in primis quel protagonista Alberto Paradossi che, secondo me, meriterebbe molto di più; straordinario caratterista è l’espertissimo Antonio Catania, onnipresente nelle commedie italiane; Giovanni Esposito nel ruolo del Bepi che serve a tirare in ballo l’eterna dialettica polentone-terrone con il meridionale camuffato nordico; la trascinante ed esuberante Anna Ferraioli Ravel, sempre più presente sugli schermi nostrani; oltre a Alessandro Besentino e Francesco Villa, il noto due Alex e Franz. Un buon cast, quindi, ben orchestrato da un esordiente che meglio non poteva fare.



La cornice musicale è ovviamente nostalgica con i grandi successi di quegli anni, a prescindere da qualche secondo del Ridi pagliaccio di Leoncavallo: Ma che freddo fa di Nadia, Non son degno di te di Gianni Morandi, la meravigliosa Arrivederci del meraviglioso Umberto Bindi, Geneviève di Giorgio Gaber ed infine il più enorme successo internazionale del tempo Il mondo di Jimmy Fontana. Si termina degnamente con un brano scritto da Pacifico, che firma le musiche, cantato dall’autore e dal regista dal titolo molto significativo: El matt.



Film piacevole e riuscito, ben preparato e realizzato, una bella sorpresa, un buon viatico per una carriera di regista che però è ovviamente irta, tutta da scrivere.



Riconoscimenti

Nastri d’Argento 2024

Candidatura miglior regista esordiente

Candidatura miglior attrice non protagonista a Anna Ferraioli Ravel



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